VERNISSAGE
17.09.2021
18h00

Tutto comincia da una interruzione


ARTISTI

Marius Engh
Diango Hernández
Federico Herrero
Helena Hladilová
Lorenza Longhi
Michela Nosiglia
Amitai Romm
Patrick Tuttofuoco
Damon Zucconi


CURATA DA
Cristiano Orsini
+ Musketeers

OSPITATA DA

Gitti & Partners
Via Dante 9 – Milano

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PICCOLO COMPENDIO TRA ESTETICA
ED ARTE CONTEMPORANEA

Nella storia dell’occidente non sono mai mancate le riflessioni da parte dei pensatori su quella che è l’esperienza estetica; su quali siano le conseguenze del godimento e dell’apprendimento dell’opera sul pensiero umano o, meglio, su come il pensiero si interroghi sul significato profondo della fruizione artistica.
Sono famose le riflessioni sul Bello di Platone, Aristotele e Sant’Agostino, come pure le speculazioni in epoca moderna di filosofi come Vico o Baumgarten.
Sostanzialmente, però, l’Estetica come disciplina filosofica nasce con Kant, il quale, preoccupato di elaborare un sistema che comprenda e definisca in maniera conclusiva le competenze conoscitive del pensiero, emargina di fatto il giudizio estetico, cioè lo strumento conoscitivo in ambito estetico, ad un ruolo soggettivo come espresso nella Critica Del Giudizio, relegando l’operato artistico ad un compito sia pur prestigioso ma estromesso da ogni possibilità di indagine su qualsiasi categoria abbia a che fare con concetti quali Vero, Giusto, Eterno, ritenuti appannaggio dell’intelletto e della Ragione, veri e soli strumenti che legiferano nei campi della conoscenza oggettiva la quale è oggetto di indagine nelle due famose prime critiche del filosofo tedesco, la Critica della Ragion Pura Teoretica e la Critica della Ragion Pratica.
Questo approccio di tipo kantiano, sia pure all’interno delle varie sensibilità e declinazioni, segnerà più o meno tutta l’Estetica del XIX secolo.
Soltanto con l’avvento delle avanguardie storiche, all’inizio del Novecento, molti artisti e successivamente anche filosofi come Adorno, cominciano a maturare una profonda insofferenza nei confronti di questo confinamento, rivendicando il diritto a partecipare attivamente anche in senso polemico ai grandi temi filosofici e politici, riappropriandosi della capacità di influenzare eticamente la società con quel processo di smascheramento delle contraddizioni e di superamento delle stesse in una visione di progresso, facendo appunto avanguardia.
Tale atteggiamento, a livello europeo, se si escludono momenti particolari di Ritorno all’ordine o fenomeni di istituzione di manifesti programmatici di stampo retorico-propagandistico, rimarrà una una costante fino almeno agli anni Settanta del XX secolo, quando una crisi generalizzata delle ideologie o dei cosiddetti “pensieri forti” produrrà un ripensamento, una sorta di slittamento intimistico pressoché ovunque, innestando quel processo di riflusso in una dimensione neutralizzata nell’orizzonte di un coinvolgimento sociale e politico se non addirittura edonistica e sostanzialmente disimpegnata, salvo poi veder ricomparire negli anni Novanta la necessità di un nuovo riposizionamento dialettico degli artisti nei confronti di tematiche contemporanee foriere di contenuti valoriali quali identità, processualità, riscoperta di culture extraeuropee, problematiche legate a tempo, solitudine, ecologia, recuperando coordinate solo formalmente legate ai linguaggi dell’avanguardia ma sostanzialmente depotenziati ideologicamente.
Questa modesta premessa, spero sufficientemente chiarificatrice, serve come introduzione all’attività artistica attuale che già dall’ultima decade del secolo scorso e fino ad oggi si presenta come un insieme di prassi metodologiche e stilistiche non riconducibili ad un sistema.
Viene da pensare che di fronte alla narcosi dei consumi omologati e alla mistificazione della comunicazione visiva globale offerta prepotentemente dalla tecnologia, la volontà degli artisti delle ultime generazioni si indirizzi a privilegiare un irriducibile frammento di verità, anche se ormai particolare e soprattutto individuale, comunicabile soltanto attraverso procedimenti singolari.
In particolare le opere presentate in questa collettiva hanno come tema di indagine conoscitiva – e di rappresentazione – o la persona stessa, in qualità di artista, come nel caso di Michela Nosiglia o Amitai Romm, o la sua percezione del mondo come nei dipinti di Federico Herrero, di Diango Hernández e nelle opere di Helena Hladilová; oppure il suo stesso agire in quanto artista come nel caso di Marius Engh, Lorenza Longhi, Patrick Tuttofuoco e Damon Zucconi, ma in ogni caso hanno ed è presente un carattere soggettivo acontestuale, senza rotture ma anche senza riferimenti ad un sentire generale, ad una comunicazione collettiva, ad un linguaggio condiviso: dunque esperienza artistica come esperienza singolarissima e personalissima. Da qui ne deriva l’uso indifferenziato di tecniche quali la pittura (Hernández, Herrero, Nosiglia, Romm), l’assemblaggio scultoreo istallativo (Engh, Longhi, Tuttofuoco), l’utilizzo di strumenti coscienti della realtà digitale (Zucconi), capaci ognuna di tradurre la giustificazione necessaria ad esistere in sé stessa.
Una certa predominanza della pittura in questa collettiva non è casuale e se la pratica pittorica sembrava apparentemente aver perso la sua secolare posizione privilegiata non va per questo sottovalutata. Essa infatti oggi è sottoposta ad un processo di revisione e rivalutazione permanente che tende a mostrarne la natura eterogenea e ibridata con altri campi di formazione, riconducendola alla sua totale attualità. È anche vero tuttavia che le arti visive si trovano oggi in una condizione che potremmo definire, parafrasando Filiberto Menna, post-mediale, caratterizzata da un estrema varietà di forme e modi a favore di pratiche indipendenti da supporti e tecniche finalizzati esclusivamente alla produzione di oggetti materiali.
Tutto ciò, ovviamente, non riconducibile ad una deriva di regole ma al contrario in contrasto con l’offerta indifferenziata della cultura visiva di massa, l’azione degli artisti sembra caricata di un processo di decostruzione delle abitudini percettive generalizzate.
Concludendo, si potrebbe affermare che i linguaggi post-mediali, o in generale contemporanei, si rivelano strumenti non tanto per liquidare del tutto le esperienze passate delle avanguardie ma per introdurvi elementi caratteristici di queste ultime, cioè quell’elemento tipico della trasformazione continua, pur avendo abbandonato ogni fondale metafisico e, per tornare a Kant, ogni pretesa dì Verità.

Cristiano Orsini

The Musketeers S.r.l. - P. IVA 01930950496

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P.I. 01930950496